Omelia della Solennità di Pentecoste

Fratelli e Sorelle carissimi, “Sia la luce”, disse il Creatore all’inizio delle sue opere e la luce fu. Poi, quando la luce rimase sola perché le tenebre del peccato avevano oscurato all’occhio dell’uomo l’altra Luce, la vera Luce, il Padre disse ancora “Sia la Luce”, e la Luce scese nel grembo di Maria per poi risplendere tra gli uomini, fino ad essere innalzata sul candelabro della croce, dove le tenebre vennero annientate. Poi, la Luce del mondo pregò il Padre che gli uomini avessero l’intima fiamma dell’amore, e così disse: “Divampi il fuoco dell’amore”; e lo Spirito Santo discese sulla Chiesa a Pentecoste. Lo Spirito Santo al Giordano si era manifestato nel segno di una colomba di fuoco bianco sul Cristo dando il via, e la relativa forza, alla sua azione pubblica; ora in Cristo, conquistatore del genere umano, lo Spirito Santo scende sulla Chiesa a dare il via e la forza all’opera di evangelizzazione di tutte le genti. Lo Spirito Santo scese come fuoco nel cenacolo, per portare a compimento la formazione degli apostoli. Come un metallo avvolto dalla fiamma diventa incandescente, liberandosi dalla ruggine, e poi fonde, così avvenne per gli Apostoli; prima la ruggine si staccò (Cf. Gv 15,3: ”Voi siete già puri”), poi, a Pentecoste, lo Spirito Santo li portò a fusione, ma non senza la presenza di uno stampo in cui acquisire forma. Il mistico stampo era Maria, la Madre di Gesù. In lei, nell’azione dello Spirito Santo, si acquisisce la forma, che è Gesù. Maria ha dato carne e sangue a Gesù, gli ha dato assistenza durante l’infanzia, sostegno nel suo pubblico peregrinare, condivisione nel suo soffrire; ha corrisposto a tutto la Madre, diventando così super conforme a Gesù. Gesù, dandocela per Madre, ci ha donato la forma nella quale si è formato, e che ha formato. E’ la Madre unica, capace di accogliere gli eletti in sé, affinché nell’azione dello Spirito Santo siano conformati a Gesù. I rigenerati nel Battesimo, i fortificati nella Cresima, i saziati dall’Eucaristia, i generosi nella corrispondenza all’amore di Dio diventano sempre più conformi a Cristo accogliendo, consegnandosi, a Maria, vivendo la loro appartenenza a Maria. La forza dello Spirito Santo fece uscire gli apostoli dal Cenacolo in una decisa e gioiosa volontà di annunciare Cristo. Comunicare Cristo affinché gli uomini fossero salvi ed entrassero in comunione con loro, che vivevano questa comunione (1Gv 1,3): “La nostra comunione (cioè quella che regge la Chiesa e ciascuno che è nella Chiesa) è col Padre e col Figlio suo, Gesù Cristo”. Evangelizzare è obbedire al comando d’amore del Signore, ed è di conseguenza volontà di comunione. Comunione nella quale il cristiano sperimenta la sua dignità di essere fatto ad immagine e somiglianza con Dio, con tutto ciò che significa, e dove attua la sua chiamata ad essere conforme a Cristo, e quindi figlio adottivo di Dio. Comunione che è liberazione dal peccato e perciò dall’infelicità. L’annuncio di Cristo produce il formasi di comunità, nell’unica Chiesa, e le comunità – nell’unica Chiesa – sono delle realtà dove regna l’ordine nella carità. L’ordine richiede un’autorità che lo stabilisca e lo mantenga, così evangelizzare, per gli apostoli, volle dire assumere anche il compito di reggere e quindi di esercitare la giustizia nella carità. Quando gli apostoli uscirono dal Cenacolo erano coscienti di essere inviati non solo ad annunciare Cristo, ma anche ad amministrare quei canali di grazia e di unità che sono i sacramenti istituiti da Cristo. E’ un errore pensare che l’evangelizzazione sia solo costituzione di comunità di fede, di comunità liturgiche e annunciatrici. Le comunità apostoliche subito diventarono lievito di civiltà; lievito nella pasta delle realtà terrene: il lavoro, le relazioni con le autorità civili, la cultura. Subito la Chiesa cominciò a proporre comportamenti sociali ispirati al Vangelo, come chiedere che tra schiavo e padrone si instaurassero rapporti nuovi, capaci dall’interno di far cadere nel tempo l’istituto della schiavitù. La lettera a Filemone la possiamo leggere anche come un inizio della liberazione del mondo del lavoro. Lavoro che era lasciato agli schiavi, ai servi, poiché considerato dal mondo greco-romano una realtà avvilente. Per il padrone c’era l’attività di contemplazione filosofica, oltre l’attività ludica. Per lo schiavo l’attività manuale, di fatica. Proprio Paolo comincia a lavorare da tessitore (At 18,3). Poteva non farlo avvalendosi del diritto di essere sostenuto dalle comunità, ma lavora, e non solo per non essere di peso ad alcuno (1Cor 4,12; 1Ts 2,9), ma per essere testimone di Cristo lavoratore, e così poter invitare al lavoro (2Ts 3,6-10). Evangelizzare è proporre la giustizia, come ad esempio vediamo nella lettera di Giacomo (5,4): “Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente”. Dunque, non bisogna affatto pensare che gli apostoli usciti dal Cenacolo avessero in mente solo di formare delle comunità di intimità, dei gruppi di consolazione reciproca; avevano un messaggio che abbracciava l’uomo e le sue attività. Certo, tutto questo divenne sempre più profondamente cosciente nella Chiesa, ma tutto era già presente in nuce quando gli apostoli uscirono dal Cenacolo. Già presente il programma della restaurazione di tutte le cose in Cristo, che gli apostoli, sulla scorta del primo invio rivolto al solo Israele (Mt 10,5), pensavano doversi attuare prima in Israele e poi nel mondo (At 1,6), e difatti in primis predicarono ai giudei e poi ai pagani. Il compito che ci sta dinanzi è vasto, immenso, difficile, molto difficile oggi di fronte ad un secolarismo militante, che ha il progetto di eliminare Dio (Cf. 2Tes 2,7) dalla storia, lasciandolo magari solo a piccoli gruppi, quali pozzanghere limacciose di un fiume prosciugato. Ma la Chiesa è un fiume che non si può prosciugare e ridurre a pozzanghere isolate, perché le sue sorgenti sono inesauste e inarrestabili, scaturendo dal trono di Dio e dell’Agnello (Ap 22,1). Infatti, lo Spirito Santo comunica continuamente alla Chiesa luce su Cristo, e incessantemente la sospinge ad una viva partecipazione al Sacrificio Eucaristico, cuore della sua vita. Lo Spirito Santo, vincolo di unità con Cristo, ci illumina Maria, la “forma Dei” così che, fusi dallo Spirito, diventiamo in lei conformi a Cristo. Così usciremo anche noi dai nostri cenacoli, le chiese, dove ascoltiamo la Parola, dove celebriamo l’Eucaristia, i sacramenti, per lanciarci nell’evangelizzazione. Niente paura, fratelli e sorelle, al di là di tempi difficili ci sarà il tempo della civiltà dell’amore. Verrà il tempo dello Spirito, non che esso non sia già, ma perché la massa degli uomini si aprirà a Cristo e non si lascerà prendere dai desideri della carne, ma darà spazio ai desideri dello Spirito. Lo Spirito, che, unitamente al Padre e al Figlio, poiché i Tre sono anche Uno, inabita in noi; lo Spirito, che ci eleva con la grazia santificante e che ci sostiene con la grazia attuale e che ci elargisce i suoi sette doni; lo Spirito che ci comunica la fede, la speranza e la carità, che mai avrà fine, scenda oggi con abbondanza di luce e di ardore su di noi, che abbiamo accolto Maria e ci siamo totalmente consegnati a lei per essere sempre più conformi a Cristo Gesù.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur.

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